Ucraina: una guerra dimenticata

Dal 2014 nel Donbass, la regione dell’Ucraina a confine con la Russia, si combatte una guerra sanguinosa nell’indifferenza e nel silenzio della maggior parte dei media. Morti che non fanno notizia, orfani destinati inevitabilmente a crescere.

A far luce su questo conflitto dimenticato è stato Mons. Claudio Gugerotti, Nunzio Apostolico della Santa Sede in Ucraina, ospite dell’Associazione Via Pacis presso il Centro Internazionale di Arco. L’ambasciatore è stato salutato e accolto dal Sindaco di Arco, Alessandro Betta, che ha ricordato come “…riflettere su tragedie di questo tipo possa aiutare a migliorarci e a mantenere quello che abbiamo, ossia la pace, che è un dono enorme”.

L’occupazione russa della Crimea e di parte del Donbass ucraino hanno causato una marea di profughi. I bombardamenti si susseguono nel silenzio totale. Anziani costretti a file estenuanti per ritirare una pensione di 50 euro. Avere i soldi per acquistare i vetri delle finestre frantumati dai bombardamenti è un lusso che in pochissimi possono permettersi, e un telo di nylon può poco contro le terribili temperature degli inverni ucraini. Il Papa, profondamente colpito da questa tragedia, ha voluto farsi personalmente promotore di una raccolta speciale di fondi in tutta Europa. I 16 milioni di euro raccolti sono stati destinati a generi di prima necessità: cibo, medicine e riscaldamento.

Ma chi potrà restituire la serenità di quei bambini che, al minimo rumore, si rifugiano sotto il divano nella paura si tratti dell’ennesimo bombardamento? O di quelli che, a causa dei traumi, hanno perfino dimenticato come si fa a leggere e scrivere?

Come per altri paesi ex-sovietici, l’impressione è che sia interesse mantenere la zona in uno stato d’instabilità permanente, in cui si combatte poco, si fa soffrire molto, ma non si risolve mai il problema.

Come si è giunti fino a qui? Ucraina e Russia sono rimaste soggette ad uno stesso destino storico e
politico per centinaia di anni: la servitù della gleba. In epoca sovietica ai padroni si sono sostituite le cooperative agricole locali, ma nella sostanza nulla è cambiato. Nessuno ci ha mai detto che la caduta del regime sovietico non è mai stata festeggiata oltre cortina da chi prima, bene o male, aveva lavoro, medicine
e vestiario assicurati, e che, da un giorno all’altro, si è sentita dire che bisognava comprare tutto. Un concetto tanto naturale in Occidente, quanto incomprensibile a chi per secoli non aveva mai dovuto pensarci. Come procurarsi il denaro, se fino a quel momento gli scambi erano fatti tra servizi? E come, se non vi erano banche?

Gli anni ’90 sono stati anni di fame autentica. File interminabili al gelo per un tozzo di pane. I vecchi capi comunisti hanno fatto man bassa delle ex-aziende di Stato, instaurando una vera e propria oligarchia. L’Europa, dopo aver provato a proporre aiuti economici, si è vista opporre un rifiuto dal governo ucraino, minacciato da Mosca di vedersi chiudere le condotte del gas. E così il presidente ucraino è scappato, e sono cominciati i morti. Le prime industrie europee, fatti i conti con la corruzione locale, hanno fatto immediato dietrofront. E così l’Ucraina si è trovata senza la Russia e senza Europa. In questa situazione di povertà strisciante, ha trovato terreno fecondo il mercato dell’utero in affitto, diventato ormai una vera e propria
industria. Alla donna che partorisce vengono dati 7.000 euro, mentre all’organizzazione che prepara gli incontri 40.000 euro. Questo lo schema che si ripete: marito e moglie stranieri arrivano in Ucraina, prendono il bambino che è appena nato e, al Consolato, dichiarano che è loro figlio nato lì. Così viene registrato in Ucraina come figlio di quella coppia. Solo l’ambasciatrice di Spagna ha registrato 362 bambini spagnoli in 6 mesi.

L’alternativa al rispetto della legalità è, però, lo spettro dell’abbandono di questi bambini in un orfanotrofio. Il Nunzio ha denunciato come questa sia una vera e propria forma di schiavitù di questo secolo nei confronti della donna: “essere messa incinta da qualcuno che non si saprà mai chi è e dare a lui e alla sua famiglia un figlio che la donna non avrà mai la possibilità di vedere”. Una tragedia che vede spesso la sola Chiesa cattolica farsi carico di quest’umanità ferita e umiliata, che chiede anzitutto rispetto e dignità. Parlarne può essere il primo passo per infrangere questo tabù.

Dalla Rivista Sulla Via della Pace n° 53

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