Mal d’autenticità

«Elisa, perché mi chiedi tanto? Sinceramente non mi permetterei mai di mostrarmi debole di fronte ai miei amici. Vuoi che rischi di passare nel gruppo degli sfigati?! Ce l’ho messa tutta per arrivare fino a qui e sentirmi un minimo figo!»

«No, Giacomo. Sto solo dicendo che essere vulnerabili non significa per forza vincere o perdere scalando una classifica, bensì avere il coraggio di scoprirsi ed essere visti per come si è».

Giacomo sgrana incredulo gli occhi di fronte a queste parole. Come ci si può permettere, oggi, di mostrarsi fragili? Effettivamente nel tempo in cui viviamo le coordinate che consentirebbero di trovarci, di comprendere quale sia il nostro posto nel mondo, vengono ridisegnate e rimodellate sulla spinta di canoni ai quali si deve corrispondere, perché altrimenti ne risulterebbe un quadro un po’ storto. «Io non posso permettermi questo» dice sottovoce Giacomo. «Cos’è che non puoi permetterti?» «Di essere storto, difettoso».

Tutti noi, chi più chi meno, siamo figli di un’epoca in cui le richieste esterne e le aspettative sembrano superare le risorse individuali per cui dobbiamo mostrarci supereroi, sempre pronti ad affrontare senza macchia e senza paura le sfide della vita; una vera e propria distorsione dell’Io che ci allontana dal desiderare e ci obbliga alla prigionia del dover essere.

«Sai Giacomo, soffriamo un po’ tutti del mal d’autenticità; effettivamente lo svelare le nostre parti fragili agli altri non ci farebbe fare una gran bella figura come dici tu, ci esporrebbe al rischio di ricevere critiche e giudizi negativi che non siamo quasi mai pronti ad ascoltare. Posso solo immaginare quanto sia difficile entrare a scuola ogni giorno con il pensiero di doversi guadagnare la stima dei compagni mascherandosi da Iron Man! Mi chiedo, però, fino a quando potrà reggere questa maschera? Cosa ne pensi?»

Accettare che anche le nostre parti fredde e spigolose possano essere integrate con quelle calde e morbide ci rende testimoni di verità. Vulnerabilità non è sinonimo di debolezza, ma è la dimostrazione più grande di coraggio. Permettiamo a noi stessi di essere un po’ stortini e ringraziamo quella parte che non vorremmo vedere, perché è la stessa che ci muove costantemente verso l’altro con occhi misericordiosi e compassionevoli. In fondo, se non siamo i primi ad accogliere le nostre parti fragili, come potremmo vedere e accogliere quelle dell’altro? Diventiamo noi per primi testimoni di verità, riassettando le coordinate su ciò che ci rende autenticamente umani, e aiutiamo anche il nostro Giacomo a farlo, perché possa pian piano permettersi di inclinare la testa e osservare l’unicità e la bellezza di quel quadro, anche se un po’ storto.

 

Dalla Rivista Sulla Via della Pace n° 67, articolo di Elisa Casarini
Psicologa clinica dell’età evolutiva
Rubrica Presenti al presente

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