La sobrietà

Tutti viviamo una potente spinta di ricerca della felicità. Fin dai primi momenti di vita, il neonato cerca il seno materno per appagare il senso di vuoto che avverte in sé. Cerchiamo amore, cerchiamo felicità.

Via via, le scelte che compiamo sono sempre, in fondo, mosse dalla ricerca del bene, della gioia, dell’appagamento… Quando ci innamoriamo, siamo mossi dalla convinzione che quella persona riempirà i nostri vuoti, colmerà il nostro bisogno infinito di amore…

Quando scegliamo una scuola, o una professione, speriamo che questo ci darà una vita migliore, che staremo bene, che avremo più possibilità…

Tutto quanto si potrebbe esprimere con una parola: felicità.

Come mai, in realtà, molte persone, forse anche noi, siamo spesso infelici, tristi, arrabbiati e delusi dalla vita? Di solito diamo la colpa a qualcuno: ai genitori, agli insegnanti, alla sfortuna, al destino…magari anche a Dio… Noi ce l’abbiamo messa tutta, ma qualcuno ce l’ha con noi. Poi ci viene un dubbio: magari siamo noi “sbagliati”, cattivi, non meritiamo di star bene ed essere felici, siamo fatti male… e oscilliamo fra queste due posizioni (paranoica e depressiva).

Ebbene, entrambe queste situazioni ci espongono alla ricerca di “surrogati” della felicità. Possiamo riempirci di cose, curare in modo esasperato il nostro corpo, seguire la moda, acquistare sempre l’ultimo modello di IPhone…cercare avidamente di apparire, di essere importanti o potenti, o riempirci di cibo, di Facebook, di pornografia, di “adrenalina” in vari modi…

Funziona? Lascio a voi la risposta…

C’è una via d’uscita? Se abbiamo perso la felicità, se la nostra vita è appannata e vuota, c’è una possibilità per noi?

Una delle vie che scopriamo in Via Pacis è la sobrietà. Di cosa si tratta? Prima di tutto, cosa non è: non è avarizia, sciatteria.

Così ne parlano i Fondatori di Via Pacis: «È possibile che questo termine possa farvi pensare a povertà, sacrificio, rinuncia, fatica, mentre è davvero la possibilità di spiegare le ali e poter volare, liberi da schiavitù e pesi. Sì, perché sobrietà e libertà si intrecciano e si rinforzano a vicenda. 

Quindi sobrietà come stile di vita, come ricerca di equilibrio e leggerezza, di originalità e cortesia, di semplicità e bellezza».

Sobrietà non è uno slogan da sbandierare per giudicare gli altri. È un richiamo a noi stessi, a valutare quali sono i veri bisogni e quelli indotti dalla pubblicità e dalla moda, dalla logica del mercato che ci vede non come persone, ma come “consumatori”. Sobrietà è innanzitutto cura: cura di sé, degli altri, del mondo in cui viviamo.

Sobrietà è contro lo spreco. E non pensiamo solo allo spreco di cibo, di energia, di risorse naturali: quanto sprechiamo la nostra intelligenza, le nostre capacità? Quanto sprechiamo il tempo, come se fosse illimitato?

Sobrietà è uno stile di vita a 360°, al quale siamo chiamati ad educarci ed educare le nuove generazioni.

Sobrietà non è una serie di regole o un’ideologia. Come tutti i valori autenticamente umani, la possiamo imparare da Gesù, che accoglie lo “spreco” di profumo a Betania e indica come modello la vedova che offre tutto quanto ha per vivere.
La sobrietà secondo il Vangelo ci rende capaci di “sprecare” la nostra vita per Dio e i fratelli.

Così ne parla Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’:

La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario. Infatti quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona ed ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà più semplici e ne sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i bisogni insoddisfatti e diminuiscono la stanchezza e l’ansia. (…) La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita. (LS 223)

 

di Lucia Romani

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