Perché San Giuseppe?

Un santo non deve diventare un’immaginetta che si sgualcisce nel portafoglio insieme a tante altre, con dietro scritta una formula di preghiera da recitare al bisogno o, peggio, per qualche specifico bisogno.

San Giuseppe sembra essere immunizzato da questo rischio. Attraversa tutta la storia del cristianesimo accompagnato da un affetto enorme dei credenti, un affetto che supera ampiamente il posto pubblico che gli si è voluto dare nella liturgia e nella religiosità popolare.

La letteratura non si è occupata molto di lui e i grandi artisti – con qualche eccezione – sono stati piuttosto restii a raffigurarlo. Alcuni ne hanno colto qualche aspetto, altri – secondo me – non l’hanno capito, mostrandolo con un’aria un po’ stranita, come uno che non si trova a suo agio nella scena, vicino a Maria e al bambino: un vecchio un po’ impacciato nel maneggiare giovani vite che sbocciano. Solo quando viene ritratto nella sua officina, dove indica gli strumenti del falegname a Gesù adolescente, sembra esprimere un po’ più di sicurezza.

Ma san Giuseppe non è questo. Giovanni Paolo II non esitò a chiamarlo “custode del redentore (Redemtoris Custos, Esortazione Apostolica, 1989)”. Eppure, nei molti scritti ecclesiastici si avverte quasi un timore prudenziale nel dire la grandezza di Giuseppe, come se potesse minacciare quella di Maria. San Giovanni Paolo II, però, esprime apertamente e con stupore il mistero del sì di Giuseppe al piano di Salvezza di Dio, un sì che si “sposa” a quello di Maria sua sposa.

Papa Francesco ha indetto un anno dedicato a San Giuseppe, proprio nell’annus horribilis della pandemia e dell’apparente trionfo della morte. Il suo documento si intitola assai significativamente “Con cuore di padre (Patris Corde, Lettera Apostolica, 2020)”, lasciando intendere che Giuseppe ha molto a che fare con noi e con la nostra vita.

LA NOTTE E IL SOGNO

Dio raggiunge San Giuseppe nella notte e nel sogno, non nel buio e nell’incoscienza. Per lui la notte non è tanto il regno dell’angoscia e del buio, ma il tempo in cui la luce non c’è ancora, ma ci sarà certamente, perché Dio fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. La notte è il tempo che ci separa dall’alba, dalle sfide della vita, e occorre sognare il sogno di Dio per districarsi nelle strade pericolose del mondo. Giuseppe è il patrono di queste nostre notti e del nostro sognare la pace in unisono con il Padre di tutti.

IL FARE E LA CURA

A san Giuseppe Dio dice “Alzati, va!”, ma non gli mette in mano una road map o un navigatore satellitare. Come andare, quando andare, che strade evitare è decisione di Giuseppe, che si prende cura giorno per giorno degli amori più grandi: la sposa e il figlio affidatogli. Il suo amore è “castissimo”, perché non lo trattiene per sé, ma lo dona rendendolo fecondo per tutti. Per questo travalica i secoli e raggiunge fattivamente anche noi, insegnandoci a servire, cioè a dare vita agli altri.

GIUSEPPE NON E’ MUTO

Si è spesso enfatizzato il silenzio di Giuseppe, che avrà pur parlato per insegnare a Gesù a pregare, a prendere le misure per un tavolo, a guardare con occhi buoni la realtà e le persone. Lo sguardo di Gesù alle moltitudini che lo cercano e o all’adultera che rischia la lapidazione deve aver preso forma in lui nelle parole e nei gesti di Giuseppe, che ci parla nello stesso modo con voce chiara, anche oggi. Se lo fa nel silenzio, è solo per essere più convincente.

CUORE DI PADRE

Scrive il Papa: “Dio in San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità. A questo tendono le vocazioni: a generare e rigenerare vite ogni giorno. Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze (Messaggio sulle vocazioni, 2021.)”. Le chiamate sono molteplici, ma per ognuno ce n’è una. Quindi, per essere concreto, chi è chiamato in Via Pacis dia la propria vita in essa, e così per chi è chiamato su altre vie, nel Signore.

RISCHIARE L’AMORE (AMORIS LAETITIA)

Incastonato nell’anno di San Giuseppe, c’è anche l’anno di “Famiglia Amoris Laetitia”. Il Papa ricorda: “Oggi è necessario uno sguardo nuovo sulla famiglia da parte della Chiesa: non basta ribadire il valore e l’importanza della dottrina, se non diventiamo custodi della bellezza della famiglia e se non ci prendiamo cura con compassione delle sue fragilità e delle sue ferite (Messaggio per l’apertura dell’anno “Famiglia Amoris Laetitia”, 2021.)”. Anche in questo Giuseppe ci conduce con saggezza gentile.

Frequentare San Giuseppe conduce alla felicità.  Ma “la felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione (Patris Corde, 7, 2020.)”.

 

Dalla Rivista Sulla Via della Pace n° 63, articolo di Tiziano Civettini
Sociologo e teologo
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