Gianna ha 65 anni, da poco pensionata. Non si è mai sposata e vive con la madre novantenne da quando il padre è morto, qualche anno fa. Ha due fratelli più giovani, entrambi con famiglia. Qualche settimana fa la mamma, che era in buona salute e ancora attiva e autonoma, è caduta in casa e si è rotta il femore. È stata dimessa da 10 giorni, non ha ripreso a camminare e presenta segni di deterioramento cognitivo accompagnati da crisi di agitazione, soprattutto la notte. Gianna si prende cura di lei H24, col supporto occasionale dei fratelli.
Incontro Gianna in ambulatorio, ha chiesto un appuntamento per capire cosa fare. Ha lo sguardo smarrito, siede sull’orlo della sedia come se dovesse alzarsi di scatto. Capisco subito che non mi sta chiedendo solo consigli medici per la madre, la sua angoscia è palpabile. La ascolto mentre mi descrive la situazione della madre, poi le chiedo soltanto: «E lei, come si sente?»
Fra le lacrime, esprime un insieme doloroso e insopportabile di perdita, senso di impotenza, paura, rabbia, confusione, solitudine. La madre è sempre stata per lei punto di riferimento, anche se nel loro rapporto non mancavano momenti di scontro, dovuti al carattere inflessibile dell’anziana, che aveva sempre tenuto in mano saldamente le redini della famiglia. «Come farò ora? …»
Il caregiver (la persona che si prende cura) di un malato come la madre di Gianna si trova ad affrontare un cambiamento della propria vita che stravolge ritmi, abitudini, prospettive. Gianna andrà aiutata a lasciarsi supportare dalla rete dei servizi di welfare, a condividere il lavoro di cura coi fratelli e gli altri parenti, a prendersi cura di sé dedicando del tempo a ciò che ama, per poter rimanere accanto alla madre con serenità, consapevolezza, equilibrio. Solo così Gianna potrà scoprire, in questo tempo doloroso, un’occasione preziosa.
Con qualcuno che le stia a fianco nella sua fatica, potrebbe accadere che Gianna incontri sua madre in un modo nuovo. Non più la donna inflessibile, dura e decisa, di cui temeva il giudizio. Nella debolezza della malattia, può sgorgare la tenerezza, che entrambe hanno soffocato per tanto tempo. Magari, nei momenti di lucidità, potranno guardare insieme le foto di quando Gianna era piccola, ricordare aneddoti buffi e ridere insieme. Farsi raccontare episodi della sua vita, e che importa se sono confusi con quanto è successo ieri. E scoprire, in una vertigine, che la mamma ha fatto tutto quello che poteva, con gli strumenti che aveva.
Allora la ri-conoscenza (conoscere di nuovo) sarà il motore della cura e la sua ricompensa.
M. L. Toller
Rubrica Testimonianze,
dal Blog Storie, incontri, parole sulla Via della Pace