Guariti dalla compassione

Avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. (Mt 14,13-14)

Gesù viene informato che Giovanni è stato ucciso. Giovanni è suo cugino, colui che lo ha riconosciuto dal seno materno, colui che ha preparato la via alla sua venuta predicando un battesimo di conversione, che ha udito la voce del Padre al fiume Giordano che proclamava Gesù “Figlio prediletto”, che ha accompagnato i suoi primi passi nell’annuncio del Vangelo e lo ha indicato ai suoi discepoli. Assieme a Maria, sua madre, è l’unica persona che Gesù aveva veramente vicino, che sapeva e capiva la sua missione. Quindi provo ad immaginarmi cosa deve aver provato… Per di più, la morte di Giovanni è l’annuncio della sua stessa morte.

Gesù sente il bisogno di ritirarsi, in disparte. Ma questa non è una fuga, come sarebbe per noi in una simile situazione. In risposta alla propria sofferenza Gesù non si chiude, non si ripiega su se stesso, ma si apre: il culmine sarà il colpo di lancia che squarcerà il suo cuore sulla croce. 

In questo testo c’è una parola che ci svela il sentire di Gesù, e questa parola è “compassione”.

«Egli vide…sentì compassione». Il termine greco che viene usato dall’evangelista Matteo richiama la parola “viscere”, l’utero materno: è la qualità fondamentale dell’amore di Dio, amore paterno/materno. È la stessa compassione di cui parla il profeta Osea: «Come potrei abbandonarti, Èfraim, come consegnarti ad altri, Israele? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8). Dalla compassione di Gesù sgorga la guarigione: «guarì i loro malati».

Questo breve passo mette in discussione la nostra idea di Dio e del suo modo di agire nei nostri confronti. Gesù, con i suoi atteggiamenti, i suoi sentimenti, le sue scelte, ci rivela il Padre.

Cosa prova Dio davanti alle mie fragilità, ai miei errori, al mio brutto carattere, alla mia incapacità di amare mio marito, i miei figli, me stessa? Cosa prova davanti alle mie malattie, magari quelle che mi sono cercata con i miei comportamenti sbagliati? Come reagisce davanti alle mie continue cadute in quel vizio, davanti a quella cosa di cui mi vergogno profondamente?

«sentì compassione per loro»

Questa è la realtà: ciò di cui voglio fidarmi. La realtà non sono le mie emozioni e i miei sentimenti, condizionati dalla mia storia, dai miei errori e dalle mie ferite. La realtà vera, affidabile, è la sua Parola: Dio è come me lo rivela Gesù, non come lo “sento”. E Gesù mi rivela un Dio di compassione, che com-patisce assieme a me. La guarigione che viene da Lui non è un gesto calato dall’alto, quasi distrattamente, come la moneta al mendicante. La guarigione che nasce dalla compassione “si prende cura” delle malattie e delle debolezze, con rispetto, tenerezza, vicinanza. Questo è il Dio in cui crediamo. 

Allora le nostre infermità e malattie possono diventare un luogo di comunione con Lui, che con la sua compassione si prende cura di noi.

Maria Luisa Toller

Articolo precedente
Il lebbroso audace
Articolo successivo
La porta d’ingresso alla gioia