Il 20 giugno 2003 don Domenico, fondatore di Via Pacis assieme a Eliana e Paolo Maino, completava il suo percorso terreno e apriva gli occhi alla visione di Dio, fedele fino alla fine alla Parola che sentiva sua: «questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
Don Domenico trascorreva la maggior parte del suo sacerdozio a confessare: ore e ore senza stancarsi. C’era chi era disposto ad attendere 3-4 ore, e anche di più, pur di confessarsi con lui. E, quando finalmente arrivava il proprio turno, lo trovava lì ad accoglierlo come fosse stato il primo, con il sorriso di chi è felice di poter elargire la misericordia di Dio.
In quel Sacramento dava il meglio di sé: non tanto dispensando consigli e buone parole, ma rinnegando se stesso, perché potesse emergere «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità…» (Ef 3,17) della misericordia del Padre. Così la Parola di Dio finiva col prendere il posto delle sue parole, e la riconciliazione diventava l’abbraccio del Padre.
Emergeva con forza la certezza che non c’è peccato che possa scalfire l’amore di Dio. Così in chi si confessava la vergogna lasciava il posto allo stupore di non sentirsi giudicati, mai. Più gliele si raccontava grosse, più cresceva e traspariva in lui la gioia data dalla certezza che in quel momento c’era festa in cielo per quel peccatore convertito (cf Lc 15,7).
Quante vite salvate, quante anime recuperate nel segreto di quella sacrestia!
Quanta temerarietà di questo prete, umile e schivo, nel rinnovare giorno dopo giorno la propria fede incrollabile nell’amore di Dio che nemmeno le grandi acque possono spegnere né i fiumi travolgere (cf Ct 8,7)!
di Ruggero Zanon