Una porta che si apre

C’è una casetta alle pendici di una montagna, piccolina, poverina con un grande via vai di gente.
Dalle finestre si sentono le voci di quelli che vengono a chiedere aiuto, un po’ di riso, un sorriso, un abbraccio o qualcuno che li ascolti.
È una casetta modesta, vicina alla tribù indigena dei mangyans. Gli indigeni vanno spesso a bussare alla porta di quella casetta, per vedere la famiglia con gli otto bambini e tutti quegli ospiti. Li salutano chiamandoli “kaibigan” che significa “amico”. Amici lo sono per davvero anche se non hanno niente in comune.
Ed in questo contesto, con un padre silenzioso a cui hanno rubato la casa ed il lavoro ed una madre sempre pronta ad aiutare il prossimo, cresce una bambina.
Il papà non parla mai e se la porta nei campi, dove lavora, lui che un tempo era insegnante. Non è arrabbiato però e la piccola lo sa perché il suo papà parla sempre della bontà di Dio.
Non hanno molto da mangiare, non hanno molti soldi, non hanno molto. Ma la mamma accoglie sempre tutti e la loro casa è sempre allegra.
Questa bimba sta imparando che il poco messo in comune diventa molto.
Nella casetta ai piedi del monte c’è sempre tanta gente che ha bisogno e la piccola sa che da grande diventerà una missionaria: vuole aiutare le persone.
Vuole che a nessuno sia portato via tutto come è successo alla sua famiglia perché i suoi genitori distrutti li ricorda ancora molto bene. Perché sa cosa vuol dire trovarsi senza niente e tutti i giorni in quella piccola casa vede persone che hanno bisogno di aiuto.

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