Il grido del Myanmar

Venerdì 25 febbraio, l’Associazione Via Pacis di Arco ha svolto al Centro Internazionale una serata dal titolo “Il grido del Myanmar”, con la partecipazione online delle suore Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento, collegate direttamente dalla Filippine e da Roma.

La serata informativa è stata organizzata per raccontare cosa succede in Myanmar a un anno dal Colpo di Stato, cosa sta vivendo il popolo birmano in questa guerra dimenticata.

Sono state intervistate suor Rosanna Favero, veneta nelle Filippine da 30 anni e referente per la presenza della sua congregazione in Myanmar, e suor Jury, birmana, attualmente nelle Filippine. «Il mio cuore è stanco di sentire sempre notizie tristi del mio paese» ha detto quest’ultima, «Il mio cuore soffre a vedere persone che hanno perso tutto e non possono vivere nelle loro case, non possono lavorare e sono minacciati di morte e uccisi senza colpa».

Nei primi tempi di disordine, le suore offrivano rifugio e aiuto ai tanti bisognosi, col cuore in gola, sentendo gli spari appena fuori dalla porta. Ogni attività veniva fatta silenziosamente, perché i rumori, qualsiasi rumore, poteva attirare l’attenzione dei militari che giravano per le strade. Successivamente «Le truppe hanno iniziato a punire le persone che non ubbidivano: le punizioni erano arresti o incendi delle loro case. Questo ha portato la gente ad aver sempre più paura e sentire la necessità di fuggire. Così è cominciato l’esodo di chi fuggiva nella foresta o sui monti» racconta Suor Rosanna Favero.

In questo contesto disperato le chiese, i conventi e le case religiose hanno alzato bandiera bianca per offrire asilo alle persone ma non è stato rispettato dai militari e non hanno escluso dai bombardamenti nemmeno questi luoghi.

In una situazione in cui il governo ha impedito anche alla Chiesa di aiutare i poveri, chiudendo l’ospedale diocesano e aumentando i controlli su preti e suore, si è formata una catena di solidarietà tra sacerdoti e religiosi, insieme a laici fidati che portavano aiuti nella foresta dov’erano nascoste famiglie intere per scappare ai militari.

E in questa situazione disperata la solidarietà è stata una luce di speranza. Numerosi e fondamentali sono stati gli aiuti arrivati da associazioni internazionali come Via Pacis e Caritas Antoniana, che mandano costantemente sostengo economico. «Sono stati degli aiuti importanti che hanno permesso di intervenire, col desiderio di aiutare e disposti a sacrificare la vita, rischiando tutto pur di arrivare alle persone nella foresta. Tutti i contributi hanno fatto miracoli, perché se non si hanno i mezzi, la buona volontà non è sufficiente» dice suor Rosanna.

«Tanti sono uccisi senza colpa dalle bombe o dalla violenza dei militari che arrestano, torturano. Ricevo notizie della morte di persone che conosco, di parenti, come mio cognato che è stato bruciato vivo insieme ad altre 30 persone la vigilia di Natale pur non avendo fatto niente di male, giovani del mio villaggio che conoscevo bene che sono stati arrestati, torturati, uccisi e gettati negli scarichi delle immondizie. Le famiglie sono separate, senza casa, senza lavoro, senza cure». Nelle parole di suor Jury riecheggia il grido disperato del Myanmar straziato da una guerra disperata che separa, uccide e tortura.

«Il mio cuore è ferito, condivide la paura, la rabbia e la desolazione della mia gente» Una sofferenza, quella di suor Jury ma anche di tutti noi, che viene alimentata anche dal silenzio mediatico attorno a questa situazione disperata. «È frustrante anche sapere che i dati che vi arrivano sono per la maggior parte falsi. I morti sono molti di più e questo silenzio è davvero doloroso e pesante» ci raccontano le suore prima di ringraziare sentitamente per gli aiuti e per l’ascolto «Sono grata di poter condividere con voi tutto questo perché parlare è una cosa concreta che posso fare per il mio paese».

L’intervista alle due donne è stata accompagnata da lacrime per una situazione di immensa sofferenza in tutti i loro racconti di disperazione, di morti innocenti, di bombardamenti e di solitudine, ma anche racconti pieni di speranza. La speranza di ricevere aiuto e di poter dare aiuto «Sono persone che non hanno più niente, hanno solo l’aiuto che gli viene dato». Speranza nella solidarietà, nella preghiera e nella possibilità che tutto questo finisca.

In questo grido disperato del Myanmar brilla la forza di tutte le persone che stanno lottando per fare del bene e di coloro che lottano per condividere con il mondo questa drammatica realtà. Al termine della serata, Don Francesco Scarin, parroco di Arco, insieme a tutta l’assemblea ha chiesto per il popolo birmano una preghiera di pace e speranza.

Articolo precedente
Cosa sta succedendo in Myanmar?
Articolo successivo
Quaresima: tempo di grazia