Con gli occhi di una donna filippina

Se dico «Filippine», l’immagine che ci viene in mente è un panorama di baracche e gente vestita come capita, che a fatica mangia tutti i giorni. Se dico «Filippine», ci vengono in mente la povertà ed i tifoni. Se dico «Filippine», ci chiudiamo in un borioso atteggiamento di compassione di chi crede di vivere meglio. Ma è davvero così?

A rispondere a questa mia domanda è stata una donna filippina, J., che a sedici anni è venuta in Italia e ci ha raccontato la sua storia. «C’era molto amore nelle Filippine» ci racconta «Lì sono molto amorevoli le persone, proprio di cuore, anche verso le altre persone, non solo quelle della propria famiglia. Ho notato la differenza con l’Italia: qui si pensa prima a sé stessi, poi alla propria famiglia e poi agli altri. Dalla mia esperienza mi sembra di capire che nei paesi più poveri ci sia, nonostante le difficili situazioni, più calore, più cuore. Proprio perché non hanno mai avuto niente, le persone lì capiscono cosa è fondamentale».

E cosa è fondamentale? Questa ragazza racconta dei tifoni, delle volte che usciva sotto la pioggia e dei tetti delle case che venivamo portati via. «In Italia se una casa viene distrutta è come se venisse distrutta una vita. Per noi la casa era un optional: la si può ricostruire». Quanto sono vere queste parole? Quanto siamo legati alle nostre cose e quanto poco alle persone. Questa ragazza racconta le priorità della vita nelle Filippine: mangiare, educarsi, aiutarsi. Quali sono invece le nostre priorità?

«Nelle Filippine i ragazzi, tutti in generale, hanno voglia di studiare» ci racconta e, leggendo le lettere che ci arrivano dalle Filippine si è commossa: «Ho letto varie lettere che i bambini filippini, con le loro famiglie vi hanno scritto. Si capisce molto bene che vi sono grati perché avete cambiato la loro vita dandogli la possibilità di studiare, ad esempio». Nelle Filippine la scuola non è per tutti, perfino quella pubblica non se la possono permettere tutti e spesso ci si trova in classe con 60 o 70 alunni, senza posti a sedere. «Via Pacis ha dato alle persone ancora voglia di sognare» dice J pensando alle adozioni a distanza. «Sono così tanti i ragazzi che riescono attraverso questo piccolo contributo a riscattare la loro vita e, proprio perché si sentono fortunati per aver ricevuto tutto questo bene, desiderano, a loro volta, cambiare in meglio la vita degli altri».

Racconta ancora di come la sanità sia tutta a pagamento «Prima si vede la carta di credito e poi si viene curati» e di come la povertà spinga la gente a ricorrere ai guaritori. «Forse per questo i miei amici si laureano in medicina: abbiamo bisogno di personale competente» dice J. Quanti sogni in questi ragazzi. Quanta voglia di cambiare il proprio paese, di impegnarsi per fare qualcosa di buono per le persone prima che per sé stessi. E noi qui? Cosa facciamo per l’Italia?

Per noi che viviamo nella parte ricca del mondo, che «siamo fortunati perché in Italia non manca niente, se uno è povero ci sono i contributi dello stato». Però viviamo una vita di corsa, di orari prestabiliti. «In Italia non manca niente di materiale, ma forse qui manca l’affetto e il calore umano». Possiamo davvero darle torto?

J parla delle gravi difficoltà del suo paese: mancanza di cibo, tifoni, case distrutte, famiglie che si disgregano, forze dell’ordine violente; eppure, parla delle Filippine con nostalgia. Dice che qui si vive meglio, ma le manca il suo paese, le manca la sua comunità perché «in Italia nessuno da una mano così. Nelle Filippine se uno ha un problema, va dal vicino di casa, ci parla e quando esce è come essere stati dallo psicologo. Ci si aiuta reciprocamente e sostanzialmente tutti sono più felici. Lo dicono anche le statistiche».  Perché? E perché qui, dove non ci manca niente, siamo tutti tanto depressi e tristi?

«Credo che la felicità stia nella comunità, nella forza di una comunità» dice J.

Ho sempre pensato alle Filippine come ad un paese pieno di problemi. E certamente è così. Ma è anche un paese in cui ci si aiuta, in cui le persone ti vengono incontro senza diffidenza. Un paese in cui a Natale si fa una tavola al centro del villaggio e si mangia tutti insieme. Un paese in cui nessuno è solo.

Certo, il nostro aiuto economico è importante, ma anche noi abbiamo tanto da imparare da loro.

 

Dalla Rivista Sulla Via della Pace n° 66, articolo di Daphne Squarzoni
Studentessa in Studi storici e filologico-letterari
Rubrica Testimonianze

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